La Donazione nel Diritto Internazionale

Post by Avv. Nicola Ferrante
on 14 Novembre 2015

La donazione è un negozio con cui qualcuno dispone dei propri beni per spirito di liberalità a favore di qualcun altro. Nell’ordinamento italiano la donazione viene qualificata come contratto, anche se esistono casi ormai consolidati di donazioni prive di natura contrattuale. La disciplina resta comunque in buona parte comune a quella delle successioni.

Ma che succede se la donazione è effettuata altrove anche se poi deve avere effetto in Italia? Esiste una definizione unitaria di donazione in diritto internazionale? Quale criterio di collegamento si applica? In DIP donazione e successioni sono trattate in maniera equiparabile?

Conviene rispondere battendo alcuni punti nevralgici.

Innanzitutto, quando si ha a che fare con una donazione internazionale bisogna ricordare che fuori dai confini italiani un atto può essere tale anche se non viene qualificato conformemente al nostro diritto. Ogni ordinamento detta disposizioni autonome, con la conseguenza che non è da escludere che nel nostro ordinamento finiscano per avere gli effetti della donazione anche atti unilaterali conformi alla legge di altri Stati.

Tuttavia, il fatto che la donazione sia di base un contratto per il nostro ordinamento, la riconduce alle norme di diritto internazionale e dell’Unione europea sulle obbligazioni: ci si riferisce alla Convenzione di Roma del 1980 e al reg. 593/08/CE, che non escludono le donazioni dal loro ambito di applicazione, ma che si riferiscono implicitamente a questo tipo di atti (come confermato dai lavori preparatori della Convenzione). Ciò suggerisce che se il regolamento Roma I risulta applicabile, prevarrà su qualsiasi altra fonte per quanto riguarda l’individuazione della legge chiamata a regolare una donazione internazionale. Quindi, in primo luogo bisogna capire se applicare il reg. 593/08/CE (o la Convenzione di Roma del 1980) oppure no.

Giova precisare che il regolamento, così come la Convenzione, non si applica a determinate materie (lo si è visto in precedenza, ad esempio ai regimi familiari e matrimoniali) e che pertanto anche la disciplina relativa alla donazione “segue” il campo di applicazione del regolamento. Detto in maniera diversa, una donazione fatta a un amico forma oggetto della disciplina del regolamento, mentre una donazione mortis causa od obnunziale ne resta fuori, con la conseguenza che si applicheranno norme interne per stabilire il collegamento (la legge applicabile alla fattispecie).

Perciò, se la donazione (internazionale) non insiste su una delle materie oggetto del regolamento, la legge applicabile sarà quella che il regolamento stesso detta per gli altri contratti.
Se, al contrario, il Roma I non può essere applicato alla fattispecie, ad esempio perché la donazione, pur dovendo sortire effetti in Italia, è compiuta in un paese terzo rispetto ai membri dell’Unione oppure perché verte su materie come successioni e diritto di famiglia, cambia tutto. In mancanza di eventuali convenzioni internazionali in materia, la cui esistenza dovrà essere verificata caso per caso, la legge applicabile dovrà essere individuata facendo ricorso alla l. 218/95.

L’articolo di riferimento in questo caso non è più il 57, ma il 56, che fornisce una disciplina specifica e più dettagliata. L’art. 56 stabilisce che la legge alla quale saranno sottoposti gli aspetti di carattere sostanziale della donazione sia quella dello Stato del quale il donante è nazionale; il donante mantiene però la facoltà di sottoporre la donazione alla legge di eventuale altro Stato di residenza, se esso non coincide con quello di nazionalità. Secondo l’art. 56, insomma, se Mr. Brown, di nazionalità neozelandese ma residente in Italia, intende fare una donazione con effetti in Italia, la legge applicabile alla donazione sarà quella neozelandese o, a scelta di Mr. Brown, quella italiana. Se Mr. Brown decide di derogare al criterio principale deve manifestare la sua scelta contestualmente alla donazione.
L’art. 56 l. 218/95 considera separatamente la forma dell’atto di donazione, ammettendone la validità anche nel caso in cui esso risulti conforme alla legge del luogo in cui è stato compiuto, oltre, ovviamente alla legge dello Stato che regola la sostanza della donazione. Tornando indietro all’esempio di Mr. Brown, in caso di donazione effettuata in Perù, se per qualsiasi motivo l’atto non dovesse essere valido ai sensi delle leggi neozelandese e/o italiana, esso potrà essere “salvato”, se possibile, dalla legge peruviana. La l. 218/95 nega che in quest’ultimo caso possa operarsi il rinvio: se, per assurdo, la legge peruviana rinvia nuovamente a quella neozelandese, tale operazione non sarà più consentita.

Ultima osservazione: è plausibile che la disciplina dell’art. 56 valga anche per donazioni realizzate tramite atti unilaterali in conformità alla legge straniera applicabile e a donazioni relative successioni e diritto di famiglia, benché la l. 218/95 dedichi altri articoli a queste materie.

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L'E-commerce e il Contratto Telematico nel Diritto Internazionale

Post by Avv. Nicola Ferrante
on 07 Novembre 2015

A completamento di quanto detto fino ad ora, si reputa pertinente riferire alcuni aspetti dell’e-commerce e del contratto telematico. Il motivo è semplice: da tempo molti contratti vengono conclusi via web e siccome accordarsi in questo modo è spesso facile e veloce, ad oggi le obbligazioni contrattuali sorte tramite internet sono sempre più numerose. Si aggiunga poi che l’esigenza di intensificare i rapporti commerciali tra parti situate in paesi diversi giustifica un ricorso ancor più intenso a tale tecnica.

La forma del contratto non è l’unico elemento tipico dell’e-commerce e della contrattazione per via telematica: giusto per fare un esempio, gli acquisti on-line sono fattispecie all’ordine del giorno, poiché l’acquirente trasferisce denaro via internet alla propria controparte, solitamente utilizzando una carta di credito per avvalersi di prodotti o servizi. Anche l’esecuzione del contratto da parte di chi svolge la prestazione tipica può avvenire sul web: se pago per affittare un’auto in Germania la prestazione della mia controparte si realizza solo in un secondo momento, ma se pago per accedere a una banca dati la prestazione della controparte si esaurisce in rete.

La domanda sorge spontanea: che novità sono previste per i contratti conclusi via web tra soggetti che operano in un’ottica interstatale?

In realtà la situazione è meno complessa di quello che potrebbe apparire. Per ciò che attiene alla legge applicabile al contratto, le regole che sovrintendono i contratti conclusi su internet sono più o meno le stesse viste in precedenza quando si è parlato di aspetti generali o di singoli contratti.

Ad esempio, se alla fattispecie in esame può applicarsi il reg. 593/08/CE si procede anche nel caso in cui tale fattispecie si perfezioni su internet, con la conseguenza che i criteri da seguire saranno quelli ormai noti, a cominciare dalla libera scelta delle parti sulla legge applicabile.

Se, invece, la fattispecie è sottoposta a un sistema di regole diverso, sia dal punto di vista di DIP in senso stretto (una norma che indica i collegamenti che portino alla legge applicabile) o di DIP materiale (una norma che ci dice da sola come regolare la fattispecie, senza che vi sia bisogno di rinviare ad altre norme), sarà proprio quel sistema di regole a trovare spazio. A tale proposito, l’e-commerce e la contrattazione telematica sottintendono la probabile realizzazione di due fattispecie già analizzate: la compravendita e il contratto concluso da consumatore.

Riguardo alla compravendita via web, in generale vigono le disposizioni della Convenzione di Vienna del 1980 (sempre che non siano applicabili altre norme a titolo di eccezione alla regola). Questo comunque è il caso di ipotesi come le vendite tra operatori professionali, perché le vendite tra “consumatori” non rientrano nel nucleo della Convenzione di Vienna del 1980, la quale contempla accordi tra professionisti.

Passando ai contratti conclusi dai consumatori, c’è da attendersi che ciò accada soprattutto quando il professionista utilizzi il web per offrire i suoi prodotti o servizi; nel qual caso, al contratto concluso via internet dal consumatore si applicheranno, se possibile, le norme tipiche del contratto concluso dal consumatore di cui al reg. 593/08/UE (se sono coinvolti soggetti di Stati UE).

Alla luce di ciò, il problema principale, semmai, resta comprendere con esattezza il luogo in cui operano le parti “nascoste dietro al computer”. Sul punto, è venuta in soccorso la Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha affermato che il professionista, poniamo operante in Italia, può considerarsi come operante in Germania se risulta da tutte le circostanze del caso che, prima della conclusione del contratto, ha manifestato la volontà di stabilire rapporti commerciali con consumatori di uno o più Stati membri, tra cui, nell’esempio appena fatto, la Germania.

Che dire poi delle discipline materiali dell’Unione o internazionale? Va bene il rinvio alla legge applicabile, ma in materia di e-commerce esistono norme UE o internazionali (convenzioni) che dettino prescrizioni comuni, tipo la Convenzione di Vienna del 1980 per la vendita internazionale di beni mobili? Qualcosa in effetti c’è.

Si segnala, pertanto, la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che copre la fornitura di diversi servizi commerciali tipicamente offerti on-line (no prodotti). Al di là delle disposizioni a presidio della libera circolazione dei servizi, gli aspetti che più contano in questa sede sono altri. Ad esempio, la direttiva individua il luogo di stabilimento del prestatore con il luogo in cui un operatore esercita effettivamente e a tempo indeterminato un'attività economica mediante un’installazione stabile; inoltre, impone una serie di obblighi al prestatore, aggiungendo garanzie di informazione a favore del consumatore affinché questi possa beneficiare di offerte lecite nell’ambito di contratti pur sempre peculiari (anche perché conclusi a distanza).

La direttiva 2011/83/CE, adottata per tutelare i consumatori, prevede tutele anche nel campo del commercio on-line: su tutte, trasparenza dei prezzi, completezza delle informazioni e aumento del termine per il diritto di recesso (anche per acquisti in occasione di aste).

Vi è pure la Convenzione UNCITRAL sull’e-contracting, promossa dalla Nazioni Unite, dunque strumento di diritto internazionale, applicabile a numerose ipotesi di contrattazioni via web tra imprese (no consumatori). Giova riferire che tale Convenzione determina l’ubicazione della sede d’affari della parte contraente a prescindere dall’esistenza di un dominio Internet, dal suo suffisso o dalla collocazione geografica del server dell'ISP (Provider).

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La Vendita Internazionale di Beni Mobili

Post by Avv. Nicola Ferrante
on 07 Novembre 2015

La vendita, solitamente denominata compravendita, è un rapporto obbligatorio, nonché un tipo di contratto, sicuramente molto diffuso e regola innumerevoli relazioni commerciali globali: confrontarsi con un contratto di vendita internazionale è quindi molto probabile. Per questa ragione, è altamente consigliabile avere una “panoramica” attendibile sulle fonti da consultare.

Urge premettere un dato importante: il riferimento va alla vendita di beni mobili, perché in diritto internazionale privato le norme che disciplinano i beni immobili tendono ad essere quelle del luogo in cui gli immobili sono ubicati.

In materia di vendita di beni mobili la precedenza non va al diritto di matrice comunitaria (Roma I e disciplina precedente), ma a due convenzioni internazionali. Da una parte abbiamo la Convenzione de l’Aja 1955, dall’altra la Convenzione di Vienna del 1980.

Le convenzioni hanno un oggetto diverso: mentre la prima ci fornisce criteri di collegamento (ci dice quali norme dobbiamo controllare per regolare la fattispecie), la seconda detta autonomamente la regolamentazione della fattispecie (non dobbiamo cercare altre norme). Il fatto che la Convenzione di Vienna sia “autonoma”, in quanto di diritto materiale universale, oltre che prodotta dalle Nazioni Unite e “forte” di un numero cospicuo di parti, fa sì che il testo a cui fare riferimento in via primaria sia proprio questo; va però rilevato che alcuni Stati UE come Regno Unito, Portogallo e Malta non hanno ratificato la Convenzione di Vienna del 1980.

La Convenzione di Vienna del 1980 di fatto governa le vendite internazionali di beni mobili a) se le parti hanno la sede d’affari in Stati firmatari della Convenzione (applicazione diretta, che prescinde dalla cittadinanza delle parti) oppure b) quando altre norme di DIP applicabili alla fattispecie rinviano alla legge di uno degli Stati firmatari (applicazione indiretta).

Se ne deduce che anche qualora fosse possibile applicare alla fattispecie il Roma I, ad esempio, l’atto rinvierebbe verosimilmente a uno Stato firmatario della Convenzione di Vienna del 1980, al punto che sarebbe esattamente questa, alla fine, a doversi applicare (salve le eccezioni di rinvii a leggi come quelle di Stati quali Regno Unito, Portogallo e Malta). Esempio: vi è margine per invocare il Roma I? Bene, il Roma I statuisce che il contratto di vendita è regolato dalla legge dello Stato nel quale il venditore ha la residenza abituale, che equivale a dire che se il venditore risiede abitualmente in Francia e la Francia è parte della Convenzione di Vienna del 1980 non resta che applicare…la Convenzione di Vienna del 1980.

Tra l’altro, né la Convenzione, né la disciplina comunitaria più volte menzionata (Roma I) indicano compiutamente la definizione di “compravendita”, col risultato che è ancora più complicato erodere il potere di applicazione della Convenzione di Vienna del 1980, anche avanzando argomenti di carattere semantico (una norma che qualifichi la compravendita in maniera più specifica).

Tuttavia, la Convenzione di Vienna del 1980 lascia salva la facoltà delle parti di non applicare la Convenzione stessa: potere derogare alla Convenzione significa che il principio della libera scelta della legge applicabile al contratto (autonomia contrattuale) sopravvive.

Qual è dunque lo spazio per l’applicazione di altre norme diverse dalla Convenzione di Vienna del 1980? In pratica, occorre versare in una di queste ipotesi:

  • le parti non hanno la sede di affari in Stati firmatari della Convenzione;
  • si applica, per un qualsiasi motivo, una norma di DIP specifica che non rinvia alla legge di uno degli Stati firmatati della Convenzione;
  • le parti del contratto, benché appartenenti a Stati firmatari della Convenzione, si accordano liberamente sulla legge applicabile al contratto (come consentito dalla Convenzione).

Insomma, casi abbastanza eccezionali rispetto alla regola. Focalizziamoci sulla Convenzione di Vienna del 1980, allora.

Essa si applica ai contratti di vendita di beni mobili, ma è evidente che i contratti cui si riferisce sono per lo più imprenditoriali: sono escluse dal campo di applicazione della Convenzione le vendite per uso personale, familiare o domestico, ma già la predetta locuzione “sede di affari” delle parti del contratto è piuttosto emblematica. Per semplificare le cose, se vendo la mia motocicletta a un amico francese, il contratto che concluderemo ben può svincolarsi dalle disposizioni della Convenzione di Vienna del 1980.

Si noti che la Convenzione stabilisce che le parti sono vincolate dagli usi ai quali hanno aderito e dalle abitudini che si sono stabilite fra esse, aprendo la strada all’applicazione di regole peculiari come quelle già viste in precedenza (ad esempio, la lex mercatoria).

In più, la Convenzione di Vienna del 1980 disciplina solo alcuni aspetti del contratto di vendita: la formazione del contratto, i diritti e gli obblighi che il contratto fa sorgere tra il venditore e il compratore. Restano “fuori” dalla Convenzione altri aspetti come la validità del contratto o gli effetti che il contratto può avere sulle merci vendute: per questi elementi le regole da seguire torneranno ad essere quelle classiche, nel senso che se le parti potranno/vorranno farlo si accorderanno tra loro come meglio credono, altrimenti osserveranno le norme previste (si veda, ad esempio, quanto detto a suo tempo sulla validità del contratto).

Circa la forma del contratto, la Convenzione non pone limiti particolari: di base la forma è libera, salva la facoltà di richiesta di forma scritta.

Le obbligazioni delle parti, invece, sono essenzialmente queste:

  • il venditore ha l’obbligo di consegnare i beni di quantità e qualità pattuite, trasferirne la proprietà, rilasciare tutti i documenti relativi ad essi;
  • il compratore ha l’obbligo di pagare il prezzo dei beni e di prenderli in consegna.

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Il Contratto di Società nel Diritto Internazionale

Post by Avv. Nicola Ferrante
on 07 Novembre 2015

In diritto privato il contratto di società costituisce una figura sui generis.

Dei contratti esaminati fino a questo momento, molti risentono di norme sovranazionali o internazionali, talvolta anche di carattere materiale, visto che alcune convenzioni dettano discipline dettagliate sulla regolamentazione di vari elementi di una fattispecie contrattuale, senza limitarsi a guidare l’interessato verso la normativa (statale) applicabile.

Il contratto di società risente come altre delle interazioni sempre più frequenti tra soggetti (persone fisiche e giuridiche) “appartenenti” a Stati diversi e l’argomento è di chiaro interesse per chiunque voglia dare corso a un ente avente le finalità più disparate e, al contempo, potenziali collegamenti con Stati diversi dall’Italia.

In questo caso non vi sono norme comuni appositamente previste per rinvenire criteri di collegamento o per disciplinare direttamente tale contratto. Anzi, il reg. 593/08/CE, ad esempio, non si applica, tra l’altro, alle questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche, su aspetti quali la costituzione, tramite registrazione o altrimenti, la capacità giuridica, l’organizzazione interna e lo scioglimento delle società, associazioni e persone giuridiche e la responsabilità personale dei soci e degli organi per le obbligazioni della società, associazione o persona giuridica. Casomai, la legislazione dell’Unione europea acquista vigore per le procedure di insolvenza in materia di società ed enti (reg. 1346/2000/CE).

Si deve fare un “salto indietro” rispetto a ciò che si è normalmente fatto prima: bisogna distaccarsi dall’art. 57 della l. 218/95, l’unica norma dell’atto relativa alle obbligazioni contrattuali in generale, e leggere il più specifico art. 25, che affronta le persone giuridiche, più precisamente le società e gli enti.

Cosa ci dice l’art. 25 l. 218/95, che per altro è l’unico articolo legge ad occuparsi delle persone giuridiche?

Dice che il contratto di società (o dell’ente) è disciplinato dalla legge del luogo ove ne è stato perfezionato il procedimento di costituzione: secondo il nostro legislatore, che nella fattispecie ha la prevalenza in merito ai criteri di collegamento, la legge italiana si applicherà se la società o l’ente risultano costituiti in Italia, altrimenti si applicherà un’altra legge. Vi sono però due casi in cui questa regola viene ribaltata e troverà applicazione solo ed esclusivamente la legge italiana:

  • in Italia vi è la sede dell’amministrazione della società o dell’ente
  • in Italia si svolge l’oggetto principale della società o dell’ente.

A differenza di altre norme, sicuramente più vaghe, l’art. 25 è dettagliato e indica alcuni elementi che sono soggetti alla legge del luogo di costituzione della società 8sempre che non debba applicarsi per forza la legge italiana), anche se si tratta di un elenco “aperto”: la natura giuridica; la denominazione o ragione sociale; la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; la capacità; la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; la rappresentanza dell'ente; le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo.

Discorso simile, ma contemporaneamente diverso, per i casi di fusioni o trasferimenti (internazionali, ovviamente) di società esistenti: la fusione e il trasferimento della sede statutaria sono efficaci se compiuti in ossequio alle leggi degli Stati interessati, ma una volta avvenuti (efficacemente), la legge applicabile alla nuova realtà sarà quella del luogo in cui si è perfezionato il nuovo atto di fusione o trasferimento, senza che la legge del luogo ove si era costituita la società o l’ente che poi si sono fusi con altri o sono stati trasferiti altrove abbia più voce in capitolo, a meno che non sia quella del luogo ove si è perfezionata la fusione o il trasferimento.

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Il Contratto di Trasporto Internazionale su Strada – b) Trasporto Merci

Post by Avv. Nicola Ferrante
on 07 Novembre 2015

Passiamo al trasporto internazionale di merci, sempre su strada.

In caso di trasporto di merci, concluso cioè tra un vettore e un mittente, bisogna riferirsi in primis a una convenzione internazionale a ciò prevista: la Convenzione di Ginevra del 1956; solo se non vi è possibilità di applicarla, subentra la normativa del reg. 593/08/CE (o della Convenzione di Roma del 1980, se ci si riferisce ad una fattispecie perfezionatasi prima del 17 dicembre 2009).

Quando si ha a che fare con la Convenzione di Ginevra del 1956 bisogna ricordare che essa si applica semplicemente se il luogo di ricevimento della merce e il luogo previsto per la consegna indicati nel contratto sono situati in due paesi diversi, di cui almeno uno sia parte della Convenzione; non importa l’”appartenenza” delle parti del contratto a Stati firmatari della Convenzione e per di più non è da escludere che le parti possano scegliere di regolare il loro rapporto mediante questo trattato anche se né il luogo di ricevimento né il luogo di consegna della merce sono ubicati nel territorio di uno degli Stati parti della Convenzione.

Due aspetti importanti: la Convenzione di Ginevra del 1956 si applica pure qualora siano coinvolti organi governativi (dunque, non solo per privati) e anche ai trasporti intermodali, che sono quelli che prevedono, in aggiunta a percorsi su strada (che devono essere sempre presenti ai fini dell’applicabilità della Convenzione), tratte per via aerea, ferroviaria o marittima, ma a condizione che nel cambio di metodologia di trasporto la merce non scenda mai dal veicolo.

Quanto ai contenuti delle obbligazioni, si riferisce, in via necessariamente sintetica (poiché l’obiettivo dell’articolo è in primo luogo quello di rinvenire i criteri di collegamento per orientare l’interessato), che la Convenzione di Ginevra del 1956 impone la compilazione ed emissione della lettera di vettura: la lettera di vettura (CMR) non è necessariamente il documento col quale si perfeziona il contratto di trasporto internazionale su strada, ma il documento probatorio per eccellenza dell’esistenza del rapporto creatosi. La Convenzione si caratterizza, inoltre, per l’applicazione della responsabilità in capo al vettore della perdita di merci o del ritardo nella consegna dal momento del ritiro al momento della consegna, salvi casi particolari, nei quali l’onere della prova grava comunque sul vettore.

Se invece non ci sono i presupposti per applicare la Convenzione di Ginevra del 1956, si applica, ove possibile, il reg. Roma I (o la Convenzione di Roma del 1980, per le fattispecie ante 17 dicembre 2009). Naturalmente, il Roma I non confeziona una disciplina articolata per il trasporto di merci su strada ma indica solo i criteri di collegamento. Eccoli, in ordine gerarchico, ribadendo nuovamente che il criterio del collegamento manifestamente più stretto, ove applicabile, ha la precedenza:

  • primo: prevale la volontà delle parti (si può scegliere la legge);
  • secondo: in mancanza, si applica la legge del paese di residenza abituale del vettore, ma solo se tale paese coincide con almeno uno tra a) il paese di ricezione della merce, b) il paese di consegna della merce, c) il paese di residenza del mittente;
  • terzo: se non ci sono le condizioni per applicare il primo e il secondo criterio, si applica la legge del paese ove le parti hanno convenuto di consegnare la merce.

È opportuno rilevare che la Convenzione di Roma del 1980, benché di applicazione sempre più improbabile in questa materia, differisce al riguardo rispetto al reg. 593/08/CE. Nella remota ipotesi in cui tocchi farvi riferimento, si sappia che in mancanza di scelta della legge ad opera delle parti, prevarrà il criterio del collegamento più stretto, che in questo caso ci conduce alla legge del “paese in cui il vettore ha la sua sede principale al momento della conclusione del contratto, se il detto paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o di scarico o la sede principale del mittente”.

Da ultimo, i contratti di trasporto internazionali di merci sono “immuni” all’applicazione delle norme relative ai contratti conclusi dai consumatori.

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